(Ultimo aggiornamento: 2 Settembre 2020)

L'ex comandante della Pan Jan Slangen torna fra le nuvole per una nuova 'missione'

di Giancarlo Virgilio
da friuli.it – 17 aprile 2019 [ fonte ]

Il pilota romano Jan Slangen, ex Pony delle Frecce Tricolori, di cui è stato anche comandante dal 2012 al 2016, dopo 25 anni di onorata carriera nell’Aeronautica Militare si è congedato con il grado di generale di brigata aerea.

La scelta è stata presa per tornare fra le nuvole e non dover stare troppo dietro a una scrivania. In una bella intervista al Corriere della Sera, Slangen ha ammesso che la nostalgia e l’attrazione per il cielo era troppa. Così, dopo il libro appena pubblicato per la Nave di Teseo, “Volare alto – Appunti sulla felicità di un pilota delle Frecce Tricolori”, l’ex capo formazione ha deciso di rientrare in attività da pilota di linea.

“Non è stato facile”, ha confidato Slangen al giornalista del Corsera. “Un giorno, però, mi sono specchiato e ho visto che i miei occhi non brillavano della luce che hanno sempre avuto. Quella luce fatta dall’orgoglio di colorare il cielo col tricolore, di rappresentare l’Italia e l’abilità non solo nostra, ma di tutte le forze armate. Il volo – ha poi concluso il generale – ci ricorda che puoi realizzare anche i sogni che paiono impossibili”.

L’ex top gun torna a volare - «Solo in cielo sono felice»

Jan Slangen, da capo delle Frecce Tricolori agli aerei di linea

da corriere.it – 16 aprile 2019 [ fonte ]

Jan Slangen, romano di padre olandese, ha volato con le Frecce Tricolori per otto anni, è stato capo formazione e poi comandante, dal 2012 al 2016. Quindi, a 41 anni, si è ritrovato dietro una scrivania. Non l’ha scelto lui, ma il fisico non regge troppi anni di volo acrobatico. A un certo punto è obbligatorio mollare, come i calciatori, come Totti che lascia il calcio giocato.

«Sulle Frecce si raggiunge un’accelerazione gravitazionale anche di 6 o 7G positivi, significa che il corpo acquisisce un peso sei o sette volte quello reale — spiega Slangen — ti senti schiacciato, il sangue defluisce verso le gambe, al cervello arriva meno ossigeno. Dopo un volo di 25 minuti, hai i capillari rotti e sei distrutto come chi ha corso i 200 metri».

Chiuso in un ufficio, tuttavia, a lui il cielo mancava. La sera, a casa, scriveva. Ne è nato un libro, appena uscito per la Nave di Teseo, Volare alto – Appunti sulla felicità di un pilota delle Frecce Tricolori. Ed è nata la decisione di tornare lassù, seppure da pilota di linea. Slangen si è congedato, con il grado di generale di brigata aerea. «Non è stato facile», ammette, «nell’Aeronautica Militare ho vissuto 25 anni entusiasmanti. Un giorno, però, mi sono specchiato e ho visto che i miei occhi non brillavano della luce che hanno sempre avuto».

Che luce era?
«Era l’orgoglio di colorare il cielo col tricolore, di rappresentare l’Italia e l’abilità non solo nostra ma di tutte le forze armate. Era la consapevolezza che pilotare le Frecce mi ha cambiato come uomo perché significa fare profondamente squadra: per volare a soli due metri dagli altri aerei, serve fiducia totale nei compagni».

Come si crea un simile spirito di squadra?
«Si costruisce già a terra, dove impari la differenza fra “io” e “noi”. La stretta di mano fra noi, quando atterriamo, dice: “Ho messo la mia vita nelle tue mani, tu la tua nelle mie”. Noi la mattina ci guardavamo negli occhi per capire se uno aveva dormito bene, se aveva un problema che poteva influenzare la prestazione e potevamo risolvere insieme».

Bisogna stare bene dentro per poter volare alto?
«La cosa più importante, in volo, è la freddezza: hai un istante per decidere, non puoi avere altri pensieri. Poi, mi è successo di capire che la freddezza mi aveva contagiato il carattere, che nella vita quotidiana tenevo tutto dentro».

Quando se n’è accorto?
«Da pilota di Amx, assistetti a tre incidenti mortali. Reagii fingendo che non fosse successo nulla. Poi, a una festa, senza motivo, scoppiai a piangere. Allora ne parlai con mio fratello, mi fece bene».

Che significa sfidare la morte ogni giorno?
«Il pensiero della morte non esiste. Se ti sfiora, è già un motivo per non farcela».

Qual è la cosa più bella quando si vola con le Frecce?
«Quando atterri, guardi le emozioni negli occhi del pubblico e ti accorgi di cosa hai appena fatto. Poi tutti dicono “stavolta le figure erano diverse”, ma sono le emozioni a non essere uguali: le 18 figure sono sempre le stesse».

Le figura più difficile?
«Quella d’ingresso: devi sorvolare il comandante a terra nel secondo esatto in cui finisce l’Inno d’Italia».

Quella che ama di più?
«L’Alona, quella finale. Mi piace quando ti avvicini al pubblico fino a vedere i flash, e poi sali. E ne amo due che ho contribuito a collaudare: Cuore Tricolore e Scintilla».

Ha mai rischiato l’errore?
«A Gaeta, abbagliato dal sole, finii fuori asse. Di fronte, arrivava un’altra formazione. Il mio collega Marco capì e corresse leggermente la rotta. Ricordo ancora il nostro abbraccio, una volta a terra».

«Volare alto», «parole alate», «mettere le ali»… Perché tante metafore sul volo?
«Perché il volo ci ricorda che puoi realizzare anche i sogni che paiono impossibili».

Una vita da top gun pilotando le Frecce Tricolori: «Grande libertà e orgoglio»

di Raffaella Ianuale
da gazzettino.it – 28 aprile 2019 [ fonte ]

UDINE – «Chi indossa le ali anche solo una volta, non le perde più». Suona come una dichiarazione d’amore, un sentimento quasi primordiale, la frase simbolo scelta per il libro. Pagine che si susseguono veloci tra ricordi e esperienze uniche dove il volo diventa metafora di vita. Non aveva mai pensato di ripercorrere la sua carriera da pilota in un volume, ma quando ha iniziato a scrivere ha capito che il desiderio di raccontare perché il volo fa innamorare così tanto era dentro e aspettava solo l’occasione per essere svelato. Un sentimento che si coglie tutto in Volare alto, appunti sulla felicità di un pilota delle Frecce Tricolori scritto da Jan Slangen e pubblicato da La nave di Teseo. Un nome straniero, che gli deriva dal padre olandese, ma che in realtà cela un top gun tutto tricolore. Cresciuto a Roma, Slangen vive a Udine e la moglie Caterina è di Chioggia. La sua carriera sembra degna di un romanzo: l’ingresso in accademia nel 1994, nel 2004 l’assegnazione al Gruppo acrobatico delle Frecce Tricolori di cui ha fatto parte per dodici anni e che ha comandato dal 2012 al 2016. Ora Slangen ha 43 anni, due figli – Mattia di 11 anni e Giulia di 6 – e, riposta la divisa militare dopo essersi congedato con il grado di generale, è tornato a volare per Ryanair.

Comandante, è più facile scrivere un libro o pilotare?
«Scrivere si è dimostrato più complicato di quanto potessi immaginare – sorride Jan Slangen – ho iniziato a buttar giù pensieri: lasciavo libera la mente nel ripercorrere i meravigliosi anni nell’Aeronautica Militare. Però poi fare il montaggio si è rivelato più difficile».

Quando ha capito che voleva diventare pilota?
«All’ultimo anno di liceo dovevo scegliere cosa fare, avevo molte passioni tre cui quella per il mare e il cielo non era tra le priorità. Un amico però mi spinse a fare domanda per l’Accademia dell’Aeronautica Militare e di lì tutto è iniziato».

Conosceva le Frecce Tricolori?
«Ne ho sentito parlare per la prima volta in occasione di una tragedia, quella di Ramstein nel 1988 in cui un aereo si abbatté sulla folla causando sessantasette vittime. All’epoca avevo 13 anni e non avevo mai visto un’esibizione acrobatica».

Eppure ha voluto farne parte.
«Ho sentito che era la strada giusta, una sensazione che è arrivata dalla pancia, non dalla testa. Dopo aver concluso l’accademia ho frequentato due anni di scuola in America e per quattro anni ho pilotato Amx. A 29 anni sono entrato nelle Frecce Tricolori».

È stato difficile entrare?
«La selezione non è tanto tecnica, perché quella c’è già stata in precedenza, si guarda soprattutto alla capacità di fare squadra: la prospettiva deve passare dall’io al noi. Perché a quella velocità non c’è tempo per pensare, bisogna sempre andare all’istante dopo. Non si possono provare emozioni, la concentrazione e la freddezza sono al massimo».

Un pilota delle Frecce Tricolori senza emozioni?
«Non durante il volo, l’emozione fortissima è quella che si prova subito dopo. Vedi gli occhi degli spettatori e cogli la magia, solo allora ti rendi conto di aver fatto qualcosa di straordinario».

Ha mai rischiato?
«Sì è capitato e qui è importante la squadra che capisce e corregge. C’è però un addestramento quotidiano, per i primi sei mesi si sale in aereo due-tre volte al giorno. All’inizio si vola basso e poi ogni volta si aggiunge un pezzettino. Fino a fare tutte le figure e a volare sempre più in alto».

L’esibizione più bella?
«Ce ne sono state molte, ma sicuramente porto nel cuore quella di Beirut in Libano. Fu un evento che andava al di là dell’esibizione. Noi eravamo il biglietto da visita del nostro paese per mantenere degli equilibri internazionali. Abbiamo gestito una situazione non facile. La folla era in delirio, aveva bisogno di stabilità, e lì mi sono sentito come un supereroe senza super poteri».

Cos’è stato per lei volare nella squadra acrobatica?
«Libertà, sentirsi parte di qualcosa che è di tutti, orgoglio di colorare il cielo con il tricolore, di rappresentare l’Italia. Quello delle Frecce Tricolori è un ambiente sano, un’eccellenza che veicola valori positivi, per me ha significato tanto, ero legato a quel senso di appartenenza e di unione nei colori della bandiera italiana».

Cosa consiglierebbe ad un giovane che vuole intraprendere la sua carriera?
«Di crederci fino in fondo e di dare tutto se stesso. Qualsiasi percorso arduo non è privo di ostacoli, ma le prove stanno proprio nella capacità di superarle».

Lei è anche un po’ veneto e friulano?
«Certo, mia moglie Caterina è di Chioggia, ho anche ricevuto la cittadinanza onoraria chioggiotta. Inoltre ci siamo conosciuti a Lignano dopo un’esibizione e ora viviamo a Udine, perché abbiamo deciso di essere vicini a Rivolto, dove c’è la base delle Frecce Tricolori».

E se i suoi figli volessero diventare piloti?
«Al di là di quello che sceglieranno, vorrei che volassero sempre alto. Malgrado i giovani siano oggi bombardati da mille informazioni, mi piacerebbe sapessero individuare la loro passione e la seguissero volando sempre più in su».

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